Il (nuovo) sogno americano

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the Donald, miliardario con un sogno (photo the gawker.com)

Strano a dirsi ma anche un miliardario può sognare il posto fisso. In quest’ottica il biondo alla Casa Bianca ha il suo perché. In un momento di estrema manipolazione, quando è difficile discernere una notizia vera da una bufala, e quando le abilità cibernetiche servono ad aumentare la confusione, è importante avere una figura di riferimento. E’ davvero un peccato non conoscere the Donald personalmente, provare il brivido di stringere la mano prima che ti acchiappi dalla parte a te più cara (se sei donna), uno che si è subito distinto per i suoi modi pacati e inclusivi, con una retorica così potente nonostante un vocabolario tra i più limitati degli States. Chissà quante cose potrebbe davvero dire se solo conoscesse più parole, più aggettivi, e quanto potrebbe essere efficace nel condurre il paese più potente al mondo (che ci piaccia o no). Bisogna riconoscergli l’abilità a coniare nuove parole: quando ha detto “we won bigly” voi detrattori avete pensato che bigly esistesse solo nel suo vocabolario. Adesso anche nel vostro. Una star di Apprentice non dice gli avverbi a caso senza poi renderli universalmente usabili, e siccome l’Accademia della Crusca è al di qua dell’oceano ecco che bigly è entrato di prepotenza nei post di FB, non importa se per sbertucciare il presidente più sbertucciato degli ultimi duecento anni. Beautiful e tremendous seguono la graduatoria degli aggettivi presenti nel programma linguistico presidenziale (si chiama Word for Twitter), seguiti a breve distanza da great. Un discorso a parte meriterebbe fake, sul versante negativo, ma tralasciamolo per pensare ad argomenti più pressanti. Il miliardario con un sogno è così attaccato alle tradizioni da voler tornare al carbone, che anche la Cina ha smesso di importare dalla Corea del Nord perché impegnata a costruire l’installazione di pannelli solari più grande al mondo. Energie rinnovabili? Over rated! come ha avuto a twittare di Meryl Streep che alla cerimonia dei Golden Globe lo ha grigliato senza neanche nominarlo una volta. Perché voi pensereste che un presidente degli Stati Uniti abbia altro da fare. Invece no. Oltre al sogno in controtendenza (di fisso negli States non ci sono neanche le tette finte), the Donald ha inventato una nuova professione, il twittarolo, questo per dare un impulso al mercato del tech. Lui naturalmente dà il buon esempio e già alle 6 del mattino è al suo apparecchio a prendersela con la stampa (ancora) indipendente o con chi non gli ha mandato un mazzo di rose. Forse bisogna stargli un po’ dietro perché copiando i titoli delle notizie su Fox News ogni tanto gli scappa di twittare anche la pubblicità. A parte questo, si concentra su temi di importanza globale come la folla realmente accorsa alla sua proclamazione di presidente, il voto popolare in cui crooked Hillary lo ha surclassato e il declino della trasmissione The Apprentice da quando lui l’ha lasciata. Questo perché non vuole togliere il lavoro all’FBI e alla CIA per rendere ufficiali le verità scottanti sulle connessioni con la Russia. Più democratico di così si muore. Avrete notato l’aplomb nel lasciare che fossero le agenzie succitate a scoprire le malefatte di Michael Flynn e Jeff Session (ma solo dopo il loro giuramento!) e chissà cosa ci riserva il futuro. Che lui e Ivanka facessero produrre le loro cose in Cina è cosa vecchia, non fa notizia. Una parola di conforto a quella povera figliola. Le si può perdonare tutto, anche il naso rifatto e il boicottaggio dei consumatori che gli è costata la distribuzione da Nordstrom. Quei suoi regali silenzi sulle cause femminili, celebrate invece da milioni di donne in marce globali, sono certo dovuti alla vaghezza del compito di supplente first lady. Melania, la parte migliore della first couple, non può ancora credere al grande colpo di fortuna che le è capitato da quando the Donald è stato deportato a Washington. Finalmente è sola nella torre dorata, con il telecomando tutto per sé. Certo nessuno potrà ridarle i suoi vecchi connotati, senza zigomi e mascellona di ordinanza, ma almeno potrà togliersi quelle seccanti lentine colorate, e godersi l’aumento del suo gradimento al 52%. Impensierisce il recente silenzio del twittarolo: nonostante il grande affanno a buttare il guano sull’ex presidente, the Donald è un po’ sottotono. Eppure, a pensarci bene, nessuno incarna meglio di lui il sogno americano. Divenuto miliardario per lascito paterno, indebitato per centinaia di milioni di dollari, andato in bancarotta appena nove volte, trova lavoro nel governo. Uno stipendio fisso e la possibilità di far ripartire le sue aziende grazie a un comodo conflitto di interessi. In un mese ha speso in security e spostamenti più di Obama in un anno, ma da bravo imprenditore ha trovato dove tagliare: agenzia dell’ambiente, guardia costiera, cultura e sicurezza negli aeroporti. Eppure è moscio. Sarà che deve ancora produrre qualche migliaio di nomine statali (quindi se volete qui ci sono almeno tremila posti scoperti); sarà che il Messico taccagno quel bel muro non vuole proprio pagarlo; sarà che la Fed non ce la fa a stare dietro alle mille cose che, a parole, lui vuole fare senza nella pratica dire esattamente come. Fatto sta che la domanda che circola negli ampi corridoi della Casa Bianca e serpeggia trai tavoli dei ristoranti giusti a Washington riguarda  WikiLeaks. Dopo aver fatto trapelare migliaia di documenti scaduti, vecchi di anni, a dimostrazione del fatto che la CIA ci spia, la tristezza di Potus potrebbe riguardare il ritrovamento di quelle benedette dichiarazioni dei redditi. Sembrerebbe che da anni the Donald non paghi un centesimo allo zio Sam. Di certo questo non scalfirà la fede dei suoi sostenitori,  a farli fuori ci penserà Trumpcare.

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